On writing è un libro interessante. Sono consigli e riflessioni di Stephen King sulla scrittura. Eccone alcuni qui di seguito.

Telepatia

“Telepatia, naturalmente”.
Comincia con questa frase CHE COS’È SCRIVERE, uno dei capitoli del libro.
Affascinante vero? In effetti è così. Scrivere, forse più di tutte le altre arti, è trasmissione del pensiero a distanza. Qualunque cosa venga scritta sconfigge ogni barriera spazio temporale. Anche adesso, io sto scrivendo e voi in un altro posto e in un altro giorno potete conoscere il mio pensiero. Se non è telepatia questa!

La cassetta degli attrezzi

Ogni scrittore per King dovrebbe avere una cassetta degli attrezzi, ovviamente immaginaria, da portare sempre con sé.
Vediamo quali sono gli strumenti che occupano i vari vassoi principali.

IL VOCABOLARIO
Stiamo parlando del linguaggio da utilizzare quando si scrive. Il suggerimento di King è di utilizzare parole e frasi semplici e dirette. Non cadere nella tentazione di usare paroloni solo perché pensiamo che ciò ci faccia sentire più intelligenti. Non bisogna avere paura della semplicità.
Attenersi al proprio vocabolario rende più semplice esprimersi e farsi comprendere. Niente forzature. Niente ostentazioni. Niente code di pavone aperte a ventaglio.

LA GRAMMATICA
Anche questo attrezzo sta in uno dei vassoi alti della cassetta. E allora vediamo cosa ci dice il maestro del brivido a riguardo.
Per comporre una frase non si può fare a meno dei nomi e dei verbi. Basta metterne uno in fila all’altro e il gioco è fatto. Semplice no?
Per quanto riguarda i verbi e preferibile la forma attiva a quella passiva. Quest’ultima appartiene agli scrittori timidi e insicuri.
Ogni storia, ha bisogno di azione per andare avanti.

GLI AVVERBI
“L’avverbio non è un amico” ci dice l’autore. Soprattutto nei dialoghi.
“Stai facendo uno sbaglio” disse tristemente.
Deve essere il contesto a rendere comprensibile l’intenzione di un dialogo. Aggiungere l’avverbio vuol dire che non siamo riusciti a delineare né la situazione, né il carattere dei personaggi.
Alla fine di una frase di un dialogo la miglior forma resta: disse.

IL PARAGRAFO
È il manifesto della pagina. Alla prima occhiata ci si rende conto se il pezzo risulterà pesante alla lettura o sarà arioso e scorrevole.
Il paragrafo detta il ritmo del racconto. I paragrafi brevi sono quelli più vicini all’esposizione verbale, diciamo che in qualche modo ci suonano più famigliari. Ci seducono di più.

Le lezioni dei libri

Ogni libro ha la sua lezione da offrire.
I libri brutti insegnano molto, per lo meno ci fanno dire: “Io posso fare meglio di così”
I libri belli a parte gettarci inizialmente nello sconforto:
“Io non sarò mai capace di scrivere qualcosa di così bello nemmeno a vivere mille anni” sono invece uno stimolo a perfezionarsi continuamente e a puntare sempre più in alto.
I libri pessimi ci aiutano a evitare gli errori, quelli ottimi ci aprono nuove vie.

Scrivere deve procurare gioia.

Il talento è reale quando non ci viene mai voglia di smettere di fare una certa cosa (in questo caso scrivere) e continuiamo fino a farci sanguinare le dita.
Quando scrivere comincia a sembrare un lavoro è la fine.

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