Ho fatto un sogno strano. Indossavo una tunica. Ero con una mia amica di quando eravamo piccoli. Non riuscivo a ricordare il suo nome. Anche lei aveva una tunica leggera. Mi dice che non ne poteva più dei suoi genitori che volevano farla sposare a tutti i costi. Mi confessa che non ha mai smesso di amarmi. Mi ha preso per mano. Io mi sono guardato intorno. Ma non c’era anima viva. Eravamo sotto i portici di una città ma non sapevo quale era. La pavimentazione era a grossi scacchi bianchi e neri. Non c’erano negozi. Penso che fosse estate perché il sole illuminava tutto e sudavo. Avevamo le tuniche appiccicate addosso. Io però non mi ero messo le mutande e questo mi faceva stare bene. Però avevo paura che si potesse notare la mia erezione, perché la mia amica aveva dei seni grossi e i capezzoli, che si intravedevano sotto alla sua tunica madida di sudore, erano turgidi.
All’improvviso si è alzato un vento forte e io non riuscivo a tenere giù la tunica. La mia amica Rosanna, ecco come si chiamava, si è messa a ridere e ha sollevato la sua veste. Aveva un folto cespuglio che profumava di chiodi di garofano e liquerizia. Si è messa davanti a me e la sua vagina si è schiusa come un fiore che sboccia. Io mi sono vergognato ma non riuscivo a non guardarla. Avevo un desiderio irresistibile. Avrei voluto baciarla e leccarla. Sentivo un formicolio caldo sulle guance, stavo sicuramente arrossendo. Non volevo sembrare arrapato. Allora sono scappato. Correvo talmente veloce che, a un certo punto, ho cominciato a fare salti di almeno venti metri. Dopo ho cominciato a volare. I portici si erano riempiti di gente. Erano tutti lì, sotto di me, a naso in su e ridevano, perché non avevo le mutande. Mi sono sfilato la tunica e sono rimasto nudo. Sono volato fuori dai portici. Le persone sotto si sono spostate in mezzo alla strada. Nessuno più rideva. Tutti applaudivano perché avevo appena partorito un uovo e poi un altro e poi un altro. Mi sembrava tutto facile. Aprivo la bocca e uscivano uova. Le uova atterravano delicatamente sul marciapiede. Ogni volta che un uovo si schiudeva usciva un bambino e spariva un adulto. Alla fine c’erano solo bambini e nessuno di loro mi guardava. Giocavano a nascondino, andavano in bicicletta, si rincorrevano, lanciavano cartocci con le cerbottane, tiravano le biglie. Io li guardavo e pensavo che erano tutti figli miei.
Ero felice perché pensavo che forse loro sarebbero riusciti a cambiare il mondo.